La truffa di Stato sul Covid, rivelazione choc: “Nei dati pure chi non è morto per il virus”. A che scopo?

Le opzioni sono due. O mente l’Iss, oppure ad essere caduta in fallo è l’Avvocatura dello Stato. In entrambi i casi il fatto sarebbe grave, nonché incredibile. Perché dopo un anno passato a far polemiche sul conteggio dei morti (“per Covid o con il Covid?”), ora si apre un nuovo incredibile capitolo.

Gli avvocati di Palazzo Chigi e del ministero della Salute si sono fatti sfuggire un’ammissione dalla portata esplosiva: in Italia, scrivono, i dati registrano tra le vittime “tutti coloro i quali avevano il virus al momento del decesso” e non, come avviene “negli altri Paesi”, solo “coloro i quali sono deceduti a causa del virus stesso”. Capito? In sostanza nel calderone ci sarebbe finito un po’ di tutto, non solo i morti per colpa di Sars-CoV-2 ma anche altro.

La rivelazione si trova all’interno della nota di trattazione, che ilGiornale.it ha potuto visionare, depositata al Tribunale Civile di Roma in merito alla causa intentata da oltre 500 familiari delle vittime del Covid. Sul banco degli “imputati” ci sono il ministero della Salute, Palazzo Chigi ai tempi di Conte e Regione Lombardia. Sulla sostanza della difesa del governo i lettori del Giornale.it sono già informati (leggi qui), ma è sui dettagli che a volte occorre soffermarsi. A pagina 22, l’Avvocatura cerca di sostenere che se anche l’esecutivo avesse aggiornato il piano pandemico, il numero dei decessi non sarebbe comunque diminuito. E a sostegno della tesi mostra degli (sballati) confronti con altri Paesi, secondo cui “il rapporto tra casi confermati e vittime in Italia non si discosta da quello esistente nel resto del mondo”. Insomma: mal comune, mezzo gaudio. Il bello però arriva qualche riga dopo: “Gli stessi dati riferiti all’Italia – si legge – devono essere valutati con le dovute precauzioni” in quanto quei numeri “classificano tra deceduti tutti coloro i quali avevano il virus al momento del decesso e non – come avvenuto da altri Paesi (…) – soltanto coloro i quali sono deceduti a causa del virus stesso”.

Quanto scritto sembra però cozzare a pieno con le posizioni ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità. La polemica sul numero di morti è vecchia come il mondo, infatti lo scorso 8 giugno l’Iss si preoccupò di scrivere un rapporto per spiegare per filo e per segno la faccenda. Il testo è abbastanza chiaro. A pagina 2 si precisa che “per definire un decesso come dovuto a Covid-19” occorre che si verifichino diverse condizioni. Primo: il morto deve essere un caso confermato, dunque con test molecolare positivo. Secondo: deve esserci un “quadro clinico” tipico della malattia. Terzo: non deve comparire una chiara causa di morte diversa da Covid-19, tipo un incidente stradale. Infine: non deve esserci un “periodo di recupero clinico completo” tra la malattia o il decesso, ovvero se ho avuto il Covid e muoio dopo 4 mesi non posso dare la colpa al virus.

Certo, poi ci sono dei casi limite, ma il punto è chiaro: non basta essere positivi per finire nel calderone dei morti per coronavirus. E chi aveva un tumore o malattie pregresse? L’Iss spiega: in questo caso vengono considerati casi Covid se i malanni già presenti “possono aver favorito o predisposto ad un decorso negativo dell’infezione”. Ecco un esempio: “Se l’infarto avviene in un paziente cardiopatico con una polmonite Covid-19, è ipotizzabile che l’infarto rappresenti una complicanza del virus e quindi il decesso deve essere classificato” come coronavirus. Se invece gli prende un colpo senza avere febbre, polmoniti o altri sintomi, anche se positivo, non viene comunque annoverato nel bollettino quotidiano.

Chi ha ragione, dunque? L’Iss, che assicura di conteggiare solo i reali decessi “per” Covid, oppure l’Avvocatura secondo cui nei bollettini rientra chiunque avesse il virus al momento dell’ultimo respiro? Cercasi chiarezza.

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