Uno studio sui contagi all’aperto smonta le balle dei fan delle restrizioni. E intanto l’Irlanda riapre tutto

Di – Stare all’aperto non solo fa bene ma riduce al minimo il rischio di prendersi il Covid-19: nuove evidenze arrivano da uno studio irlandese che ha dimostrato come soltanto lo 0,1% dei casi totali registrati in Irlanda da inizio pandemia siano riconducibili a contagi presi lontani dalle mura di casa o da luoghi chiusi.

Cosa dice lo studio

Questo studio evidenzia, ancora una volta, come sia fondamentale stare all’aperto più che rimanere al chiuso dove il virus corre davvero. E i numeri parlano chiaro: su 232.164 casi di Covid-19 registrati in Irlanda fino al 24 marzo di quest’anno, soltanto 262 sono il risultato di trasmissione all’aperto, pari allo 0,1% del totale. Da inizio pandemia sono stati registrati 42 focolai associati a raduni all’aperto con un focolaio comunitario che ha rappresentato sette casi. I dati sono stati resi noti dall’Health Protection Surveillance Center (HPSC), ovvero il Centro di sorveglianza per la protezione della salute irlandese e forniti al quotidiano The Irish Times.

I dati HPSC si sono basati su “luoghi che sono principalmente associati ad attività all’aperto, ovvero sport all’aria aperta e cantieri edili, o focolai che menzionano specificamente nei commenti che un luogo o un’attività all’aperto era coinvolta“, scrivono i ricercatori. Nello specifico, 21 focolai sono stati registrasti nei cantieri edili con 124 casi e 20 focolai erano associati ad attività sportive e fitness in cui si sono verificati 131 casi. L’ente ha però aggiunto che “non può determinare dove si è verificata la trasmissione”.

Cosa dicono gli esperti

Questi risultati hanno lasciato a bocca aperta anche gli addetti ai lavori: il Prof. Liam Fanning, immunovirologo dell’University College di Cork, ha affermato che gli incontri faccia a faccia all’aperto comportano sempre un rischio se c’è una persona asintomatica sottolineando, però, che i dati sono “rassicuranti e che i supporti finanziari per incoraggiare i pasti all’aperto dovrebbero essere molto più alti in modo che l’Irlanda possa diventare una società di ristorazione all’aperto“. La stessa riflessione dovrebbe essere fatta anche in Italia, con i luoghi della ristorazione chiusi ormai da tempo immemore. Anche Ed Lavelle, professore di biochimica al Trinity College di Dublino e dal 2013 presidente della Società irlandese di Immunologia, ha affermato che “i risultati convalidano molte delle tesi provenienti dagli Stati Uniti” e “dimostrano che le attività all’aperto sono sicure. Andare in un bar all’aperto“, ha sottolineato, “è molto sicuro. L’aspetto fondamentale è cosa succede dopo queste attività“, si legge su Liberoquotidiano. Meno ottimista ma oggettiva la collega Orla Hegarty, secondo la quale “all’aperto il rischio di contagio è basso, perché», ha spiegato, “a meno che tu non sia vicino a qualcuno infetto, la maggior parte del virus viene spazzato via dall’aria, come avviene per il fumo della sigaretta“.

L’Irlanda riapre

Sulla base di questi dati, il governo irlandese ha deciso la riapertura delle attività all’aperto dal 26 aprile oltre ad alcuni luoghi turistici e tutti i locali con spazi esterni. Il ministro del Turismo, Catherine Martin, ha messo a disposizione l’equivalente di 17 milioni di euro per i ristoratori che vogliono ampliare i loro spazi all’esterno. Se ce ne fosse bisogno, a dimostrare in modo definitivo che stare in luoghi aperti è, di per sè, il vero anti-Covid, l’Università della California è arrivata alla conclusione che la possibilità di contrarre il Covid in un ambiente chiuso è 19 volte superiore. Evidenze arrivano anche da uno studio cinese che ha dimostrato come, su 1.245 casi in Cina, soltanto tre persone sono state infettate all’aperto e, tra l’altro, stavano conversando senza indossare le mascherine. “La nostra conclusione è che in molti settori, e per molte dimensioni e formati, dovrebbe essere possibile mettere in atto adeguate mitigazioni basate sull’evidenza per fornire eventi e attività all’aperto in un modo che non aumenti il rischio dalla trasmissione sporadica all’epidemia di cluster“.

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