Tachipirina e Vigile attesa, così Speranza avrebbe lasciato morire di migliaia di italiani? Studio: “Il paracetamolo può essere dannoso”

Da ByoBlu – Tachipirina e vigile attesa è diventato il motto del Ministero della Salute italiana. Dallo scoppio dell’emergenza sanitaria ad oggi le linee guida per la cura domiciliare del Covid nelle prime fasi non si sono mai mosse da lì.

I protocolli ministeriali

Era scritto nella circolare dello stesso ministero presieduto da Roberto Speranza dello scorso novembre 2020, dove la fantomatica vigile attesa veniva messa al primo posto tra le indicazioni di gestione clinica, mentre qualche gradino più in basso veniva raccomandato il paracetamolo, il principio attivo contenuto nella più nota tachipirina.

E anche con l’aggiornamento avvenuto nell’aprile 2021, con la pubblicazione di un’altra circolare del ministero, questi due principi restavano saldi, in cima alla lista dei suggerimenti per gli affetti da Covid.

Se a distanza di quasi due anni dallo scoppio dell’emergenza, e con oltre 130.000 decessi da Covid, il Ministero della salute continua a puntare le sue cartucce sul paracetamolo, evidentemente basa le sue convinzioni su incontrovertibili evidenze scientifiche. Quali sono però?

Gli studi critici del paracetamolo

In realtà nella comunità scientifica sembra esserci ampio dibattito su questo punto, non solo perché il paracetamolo potrebbe essere inutile nella gestione iniziale del Covid, ma addirittura dannoso.

Un primo articolo scientifico in questo senso era stato pubblicato già nell’ottobre 2020 da due scienziati italiani. Piero Sestili, docente di farmacologia all’Università di Urbino, e Carmela Fimognari, anch’essa docente di farmacologia all’Università di Bolognaavevano pubblicato su Frontiers in Pharmacology l’articolo dal titolo “Consumo di glutatione indotto da paracetamolo: esiste un legame con una grave malattia da COVID-19?”.

Nel testo i due scienziati mettono in dubbio l’efficacia dell’utilizzo del paracetamolo nel trattamento precoce da Covid, che così concludeva:

L’uso preferenziale del paracetamolo nel COVID-19 come alternativa più sicura all’ibuprofene dovrebbe essere attentamente riconsiderato e l’uso dell’ ibuprofene eventualmente rivalutato. Infine, i paesi che registrano un nuovo aumento di casi positivi alla SARS-CoV-2, come le quattro principali nazioni dell’UE e il Regno Unito, dovrebbero promuovere lo sviluppo di linee guida di trattamento più razionali per COVID-19, tenendo debitamente conto dei fatti e delle considerazioni di cui sopra per evitare che lo stesso errore, qualora si accertino dubbi sul paracetamolo, possa ripetersi nei prossimi mesi”.

L’impasse del Ministero della salute

Valutazione che sembra però non essere stata presa in considerazione da parte del Ministero della Salute, vista la conferma del paracetamolo anche nell’aggiornamento delle linee guida dell’aprile 2021.

Tuttavia l’articolo è stato invece ripreso da un altro team di italiani che sembra aver confermato l’ipotesi di effetti dannosi dell’utilizzo della tachipirina per il Covid. “Paracetamolo nel trattamento domiciliare dei primi sintomi di COVID-19: un possibile nemico piuttosto che un amico per i pazienti?”, così titola l’articolo pubblicato sul Journal of Medical Virology. Nell’articolo si analizzano diversi studi precedenti sulla materia, tra cui il lavoro di Sestili e Fimognari, ma anche quello Fredy Suter e Giuseppe Remuzzi dal titolo: “Un semplice algoritmo di terapia domiciliare per prevenire il ricovero in ospedale per i pazienti COVID-19”, insieme ad altri 14 lavori scientifici.

La conclusione è sempre la stessa:

Il paracetamolo aumenta il rischio di evoluzione negativa del Covid. L’effetto del paracetamolo è quello di ridurre le scorte di glutatione, una sostanza naturale che agisce come antiossidante. La carenza di questa sostanza può portare a un peggioramento dei danni legati all’infiammazione causata dall’infezione da coronavirus.

Chiaramente si tratta di studi che non rappresentano verità assolute, ma la scienza è fatta di ricerca, di approfondimenti e di messa in discussione. Un atteggiamento che forse manca al nostro Ministero della Salute, ancorato allo stesso protocollo da quasi due anni.

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