Enrico Letta: “Non tratto sul Ddl Zan con Salvini, è un omofobo”. E la legge (per fortuna) va verso il rinvio

Di Inflessibili e chiusi a ogni compromesso sul ddl Zan (tranne avallare silenziosamente il suo rinvio ad un incerto autunno); aperti a nuove mediazioni al ribasso sulla riforma della giustizia che fa soffrire i grillini. Il Pd di Enrico Letta appare assestato su questo precario doppio registro, fonte di forti malumori interni.

«Non siamo aperti al confronto con chi è omofobo in Europa», decreta il segretario, chiudendo ogni spazio di trattativa con la Lega di Salvini, che si era detto disponibile a votare il ddl Zan modificato. Niente da fare, è «omofobo in Europa» e quindi non ci si parla neanche in Italia. Tanto Letta sa benissimo che oggi, chiusa la discussione generale sulla legge anti-omotransfobia, il testo verrà accantonato causa arrivo in aula di decreti da convertire, e se ne riparlerà – forse – dopo le elezioni amministrative.

Il Pd si risparmierà così la roulette russa delle votazioni, sempre più ad alto rischio dopo che dal fronte pro-Zan sono arrivati emendamenti di mediazione: quello del socialista Nencini sull’articolo 4 e quelli annunciati da Julia Unterberger per il gruppo delle Autonomie «per favorire un compromesso con il centrodestra». Mosse insidiose, che potrebbero dividere il centrosinistra e portare alla modifica di punti chiave del ddl: meglio aggirare il problema e infilare la legge in un cassetto, accreditandosi al tempo stesso come suoi intransigenti sostenitori in campagna elettorale.

Tutt’ altra musica, invece, sulla riforma della giustizia: nonostante Letta la abbia salutata come «grande passo avanti» e «ottimo compromesso»; nonostante i ministri dem (e pure quelli di M5s, peraltro) la abbiano votata in Cdm e il Pd si sia impegnato con il premier a sostenere la serrata tabella di marcia su quel testo, è bastato un colpo di tosse dalle parti di Giuseppe Conte per far cambiare copione. Prima l’apertura di Letta a «nuovi aggiustamenti», poi l’immediata attivazione dei capifila dem sulla giustizia (da Bazoli a Vazio) per escogitare nuove modifiche che vadano incontro ai desiderata di Bonafede & Co.

Ma dall’interno dello stesso Pd sono partiti gli altolà all’inseguimento dei grillini sul terreno giustizialista: i ministri hanno fatto arrivare al Nazareno le loro obiezioni al cambio di linea (poco apprezzato a Palazzo Chigi), e diversi parlamentari si sono fatti sentire: «Sulla giustizia il Pd non può che essere dalla parte di Draghi e Cartabia, senza timidezze e tentennamenti», avverte Salvatore Margiotta. «L’alleanza con M5s non si costruisce contro il governo Draghi», dice Andrea Marcucci. Mentre da fuori Matteo Renzi attacca su ambo i fronti: «È una vergogna non trattare e mettersi di traverso sul ddl Zan ma trattare sulla giustizia. Il Pd si sta avvicinando troppo ai Cinque Stelle».

Alla fine, anche Conte – entrato baldanzoso a Palazzo Chigi ieri – ne è uscito ridotto a assai più miti consigli, chiedendo al premier di concedergli un contentino di facciata «per tener buoni i miei», ma senza toccare il provvedimento. E anche Letta ha frenato, prendendo atto del dietrofront imposto da Draghi al suo predecessore: «Mi rallegro che l’incontro sia stato positivo. Il nostro auspicio è quello di una approvazione rapida di una buona riforma come quella della ministra Cartabia».

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