L’ipotesi della terza dose divide gli esperti: “C’è il rischio di aumento degli effetti collaterali”

Di Alessandra Benignetti In Israele già è partita la campagna per somministrare il terzo richiamo del vaccino Pfizer agli over 60, mentre in Italia si valuta la possibilità di immunizzare fragili e immunodepressi con una terza dose. Ma gli esperti si dividono. Continua il dibattito sull’opportunità di effettuare la terza dose del vaccino anti-Covid a mRna per aumentare il livello di anticorpi contro il virus.

All’inizio di luglio Pfizer aveva annunciato di voler chiedere l’autorizzazione all’Ema e alla Fda americana. Ma l’autorità regolatoria statunitense, assieme ai Centers for Disease and Control (CDC), aveva espresso scetticismo riguardo questa ipotesi. A condividere questa posizione è una buona parte della comunità scientifica, a partire dal super-virologo americano, consulente del presidente Joe Biden, Anthony Fauci.

Anche da questo lato dell’Atlantico sono in molti a sostenere che la terza dose di vaccino sia “superflua”. Le cellule B e T garantiscono, è la spiegazione principale, potrebbero garantire per anni la protezione dalla forma grave dell’infezione. Sicuramente, sottolineano Fda, Unione europea e Oms, una decisione in materia potrà essere presa solo dopo studi approfonditi.

Intanto, in un’analisi pubblicata su Repubblica lo scorso giugno, gli infettivologi Antonio Cassone, dell’American Academy of Microbiology e Roberto Cauda, del Gemelli, avevano messo in guardia sul rischio che una somministrazione ripetuta e ravvicinata del vaccino basato sulla tecnologia dell’Rna messaggero rischia di aumentare gli “effetti avversi” oltre che “causare una riduzione della capacità immunizzante” e “tossicità se ripetuta frequentemente”.

È d’accordo anche Fabio Malavasi, dell’università di Torino, citato dal Fatto Quotidiano, secondo il quale i vaccini a mRna “possono non essere l’ideale per multipli richiami, per il potere di indurre forte flogosi”. Si ragiona, quindi, sull’opportunità di effettuare i richiami con un altro tipo di vaccini, quelli a virus attenuato, che non mostrerebbero “effetti collaterali di rilievo” anche con la somministrazione a breve distanza.

Poi c’è la questione dei guariti. Secondo diversi studi, citati dallo stesso sito, le cellule B e T assicurerebbero, infatti, a chi ha superato la malattia una protezione che può durare anche anni. Da 9 a 17, secondo uno studio del 2020 effettuato sui pazienti che avevano superato la Sars. Per contro, sulle persone guarite dal virus aumenterebbe anche il rischio di reazioni avverse secondo uno studio britannico del marzo 2021.

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