Business vaccini, Pfizer spinge per la terza dose: ma la sperimentazione è stata condotta su sole 23 “cavie”

Di Michele Crudelini La terza dose del vaccino anti Covid potrebbe diventare presto realtà. Non c’è due senza tre d’altronde e la scienza sembra così trovare maggiore legittimità grazie a vecchi proverbi popolari, piuttosto che attraverso solidi dati scientifici. Perché di dati sulla terza dose non ce ne sono proprio.

I dubbi della comunità scientifica israeliana

È stata Israele a dare avvio all’introduzione della terza dose del vaccino Pfizer destinata agli over 60. Eppure nonostante il lasciapassare del Governo, la comunità scientifica israeliana sembra nutrire più di un dubbio sull’utilità di questa nuova iniezione.

“Potrebbero non trarne beneficio, ma non faranno alcun danno”, ha dichiarato Michael Edelstein, professore di epidemiologia all’Università di Bar Ilan. E con la stessa incertezza si è espresso anche Nadav Davidovitch, professore di epidemiologia all’Università Ben Gurion: “Non è abbastanza chiaro quale sia il reale beneficio”, ha detto in merito all’introduzione della terza dose.

Certo è strano pensare che un farmaco, già autorizzato in via condizionata e di cui non si conoscono eventuali effetti avversi sul lungo periodo, possa essere autorizzato, nella terza dose, con questa leggerezza. Come se fosse un’iniezione di acqua fresca.

Gran Bretagna e Italia pronte alla terza dose?

Nonostante questo anche la Gran Bretagna ha già annunciato da diverse settimane l’autorizzazione alla somministrazione della terza dose. E anche in Italia si inizia a vociferare di questa eventualità a partire dal mese di settembre.

Terza dose che però sembra non convincere nemmeno i principali sostenitori della campagna di vaccinazione in Italia.

Sulla terza dose sono un po’ sconcertato. A parlare molto di terza dose è soprattutto la casa farmaceutica che produce il vaccino ma lo fa sulla base di dati limitati. Sicuramente provoca un’impennata di anticorpi ma quello che dobbiamo chiederci è: serve?

Ha così dichiarato il direttore di Malattie infettive all’Ospedale Sacco di MilanoMassimo Galli. E in effetti particolari rassicurazioni in questo senso non arrivano dalla multinazionale farmaceutica Pfizer.

Test su sole 23 persone?

Il colosso americano sta infatti provando a convincere i suoi potenziali acquirenti sulla necessità e sull’efficacia di questa terza inoculazione. Fanno sapere dalla Pfizer che: 

Induce titoli di anticorpi neutralizzanti contro la variante Delta che sono più di 5 volte superiori nelle persone più giovani e oltre 11 volte maggiori nelle persone anziane, rispetto a 2 dosi.

Questi dati però provengono da studi condotti dalla stessa azienda farmaceutica. Oltre ad esserci quindi un evidente problema di conflitto di interesse, i dati che porta la Pfizer come base per la terza dose sono decisamente poco incoraggianti.

Si parla di un campione di 23 persone, senza che gli esiti siano stati sottoposti a peer review o siano stati pubblicati su una qualche rivista scientifica. 23 persone non sembra quindi essere un numero rilevante per poter autorizzare l’estensione di una terza dose ad un’ampia fascia di popolazione.

Tuttavia Pfizer sembra voler perseguire una strategia di profitto ad ogni costo. La multinazionale ha infatti annunciato un rincaro sui prezzi delle dosi, passate dai 15,50 euro iniziali a 19,50 euro attuali.

Aumento dei prezzi unito agli annunci della terza dose che hanno fatto festeggiare le casse della multinazionale, i cui utili potrebbero superare i 100 miliardi di dollari nel prossimo trimestre. Siamo sempre lì quindi: multinazionali pronte a mettere in secondo piano la tutela della salute pubblica con l’unico obiettivo del profitto.

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