Anche l’imam di Milano zittisce Conte: “L’invito al dialogo è pericoloso. I terroristi non sono interlocutori”

– L’imam di Milano Yahya Sergio Yahe Pallavicini, che è vice presidente della Coreis sembra pensare che con i talebani non possano esistere spazi di dialogo. Anzi, il rischio è proprio quello di legittimare una forza che non dovrebbe essere presa in considerazione come interlocutore. L’imam, senza girarci troppo attorno, definisce «pericolose» le aperture provenienti dall’ex premier Conte.

I talebani sono cambiati?

«Non c’è nessun motivo di credere che siano cambiati in meglio. I segni confermano quello che erano prima. Sono armati, sono spacciatori, sono criminali ed abusano della religione al fine di sostenere uno psesudo-nazionalismo».

Quindi la narrativa sul cambiamento è fuorviante? Le aspettative sul cambiamento?

«Le aspettative devono essere dimostrate da segni evidenti. Altrimenti ci stiamo prendendo in giro. Non esistono segni di cambiamento su questi elementi: dignità della donna; libertà religiosa; abbandono delle armi come strumento di conquista; non cercare un sostentamento al loro potere economico tramite coltivazione e spaccio di sostanze stupefacenti. Se qualcuno ha cambiato i criteri e pensa di poter dare una possibilità di gestione politica a criminali, spacciatori e guerriglieri…. . Sono in disaccordo con questa distribuzione di fiducia immotivata».

Talebani significa studenti, giusto?

«Sono studenti che non hanno maestri e anzi hanno falsi maestri che gli fanno credere di poter usare le scuole coraniche come copertura per un indottrinamento, per la guerriglia, per la violenza e per un’ideologia nazionalistica di conquista che non ha nulla di religioso e nulla di islamico. Si tratta di una falsa maestria. Un lavaggio del cervello su un Corano che non esiste».

Passiamo al piano politico. Cosa ne pensa delle dichiarazioni di Conte sul dialogo?

«Una pericolosa ingenuità. Stiamo di fatto legittimando un interlocutore che è un terrorista, uno spacciatore e un millantatore di un’identità religiosa, oltre che di una identità nazionale. Non ci sono i presupposti per concedere possibilità ad una dignità d’interlocuzione istituzionale. Bisogna invece investire per creare dalla società civile una dirigenza in grado di poter ottenere una fiducia che non sia basata su armi, droga e violenza».

Quindi le frasi di Conte sono sbagliate anche dal punto di vista politico…

«Sono frasi pericolose da un punto di vista politico. Consentono alla politica di governo di scegliere o di legittimare dei criminali come interlocutori di una rappresentanza istituzionale».

Ma non è che lei ce l’ha Conte per la mancata apertura delle moschee nella fase 2?

«Io richiamai il primo ministro Conte a considerare, tra le priorità, non soltanto l’apertura dei servizi commerciali, ma anche la possibilità di sollievo e di conforto dei credenti nei rispettivi luoghi di culto. Dopo la mia richiesta, lui ha avuto la bontà di cambiare e di sottoscrivere i protocolli, compreso pure quello con la Coreis italiana per quel che riguarda le moschee. La discussione c’è stata, ma lui ha rimodulato alcune priorità. Dal disaccordo, dialogando in maniera seria, siamo arrivati a delle concrete misure. Qui il disaccordo non è di contenuto, ma di metodo: dialogare con dei terroristi vuol dire legittimarli come possibili interlocutori di governo. Questo, in Afghanistan o altrove, non è saggio e non è la mia opinione della politica»

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