Immigrazione, pugno durissimo in GB: ergastolo per gli scafisti e fino a 4 anni di carcere per i clandestini

Viaggiano a bordo di imbarcazioni a volte piccolissime, persino canoe, come quelle su cui si trovavano una cinquantina di persone provenienti da Iran, Iraq e Afghanistan, soccorse il giorno di Natale dello scorso anno. Sono 34 km da percorrere nello Stretto di Dover, il punto che costituisce la distanza più breve tra l’Europa e l’isola britannica, tra Cap Nez-Gris (Francia) e Dover (Inghilterra).

Ora però il Regno Unito, di fronte a sbarchi da record, ha deciso di intervenire, preparandosi a inasprire le pene detentive: da 6 mesi a 4 anni per i migranti che tentano di entrare illegalmente nel Paese, aumentando la pena massima applicabile ai trafficanti di esseri umani, da 14 anni di carcere all’ergastolo. A poco e nulla sono serviti i circa 35 milioni di sterline stanziati dal ministro degli Interni britannico, Priti Patel, per i controlli alla frontiera di Calais, o i piani annunciati per reprimere i trafficanti.

Per queste ragioni Boris Johnson ha annunciato un progetto di riforma del sistema di asilo che arriverà domani al Parlamento di Westminster. «Sono quasi 6mila le persone che hanno attraversato illegalmente il Canale tra gennaio e giugno, un numero destinato a superare nelle prossime settimane gli 8.417 registrati in tutto il 2020. Servono provvedimenti urgenti», ha spiegato il premier britannico.

Tutto quanto realizzato per scoraggiare le partenze da Cap Nez-Gris e Calais è servito a ben poco. Il ministro Pratel aveva addirittura invitato a giugno diversi social network, tra cui YouTube, Tik Tok, Instagram, Twitter e Facebook, di rimuovere dalle loro piattaforme alcuni video che inneggiavano alla traversata del canale della Manica da parte di migranti a bordo di gommoni. «I post che promuovono e arrivano a rendere persino glamour queste traversate mortali sono inaccettabili. Questo genere di filmati vengono sfruttati dai trafficanti per promuovere i loro affari».

Per quanto riguarda la nuova legge, la Pratel ha sottolineato che verranno comunque accolte «le persone attraverso vie sicure e legali, reprimendo l’ingresso illegale e la criminalità ad essa associata». Se da una parte si lavora all’inasprimento delle pene, il governo inglese sta studiando da qualche giorno il «modello Danimarca». Di recente, infatti, il parlamento di Copenaghen ha approvato una nuova legge che consente di trasferire i rifugiati dal suolo danese ai centri di asilo in un paese partner per l’esame dei casi e possibilmente per la loro protezione. In realtà la Danimarca deve ancora raggiungere un accordo con un partner, ma il ministro per l’immigrazione ha affermato che sono in corso negoziati con diversi paesi candidati, tra questi sembrano essere molto gettonati Rwanda, Ghana e Zambia. Nazioni che vantano una conclamata stabilità politica. Il progetto non piace però all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, che ha esortato Copenaghen ad astenersi dall’esternalizzare i propri obblighi di asilo.

La Pratel, incurante degli strali dell’Ue, ha già discusso con la controparte danese sull’istituzione di un centro di trattamento dei migranti condiviso in Africa. La visione congiunta di Londra e Copenaghen è che l’elaborazione delle domande di asilo dovrebbe avvenire al di fuori dell’Ue, in modo da frantumare la struttura di incentivi negativi dell’attuale sistema d’asilo. Una mossa che cancellerebbe qualsiasi proposito di pagare i trafficanti per un posto sui gommoni.

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