L’Italia che non si inginocchia: la metà degli Azzurri non si è piegata al buonismo, ha giocato a testa alta e ha vinto

Di Eugenio Palazzini – Roma, 21 giu – Italia a testa alta, in piedi. A testa alta, finendo per beccarsi deliranti accuse di razzismo. A testa alta, nonostante l’incessante propaganda mainstream. La metà dei calciatori della nazionale in campo contro il Galles ieri sera non si è inginocchiata, evitando di prostrarsi di fronte al conformismo. E la notizia è questa, perché non era affatto scontato che giovani tra i venti e i trenta anni fossero in grado di mostrare fierezza di fronte alla vocina buonista di chi gli sussurrava di fare il contrario.

Parliamoci chiaro, con buona pace della stampa che oggi elogia chi si è inginocchiato, se i gallesi non avessero compiuto quel gesto, nessun italiano lo avrebbe imitato. Non lo hanno fatto prima del fischio di inizio con la Turchia, non lo hanno fatto con la Svizzera, non lo avrebbero fatto neppure questa volta.

L’Italia che non si inginocchia

La scena è stata d’altronde piuttosto grottesca. Tutto pronto, tutti in piedi. E battiamo noi il calcio di inizio. D’un tratto però l’arbitro interrompe il gioco, perché il Galles ha chiesto di compiere la sceneggiata conformista. A quel punto alcuni giocatori italiani si adeguano, senza troppo pensarci e quasi a voler disinnescare istintivamente eventuali polemiche. Gli altri no, gli altri restano in piedi. La consapevolezza di questi ultimi è chiara, perché si sono imposti di non cedere. La reazione quasi automatica, di riflesso, degli altri è molto meno pensata. Ed è stato chiaro a tutti, vista anche l’incertezza di alcuni che poi si sono piegati, come a dire: “Mi inginocchio o non mi inginocchio?”. La cronaca dell’accaduto è tutta qua. Ed è piuttosto ridicolo scrivere, come ha scritto il Corriere della Sera, “migliori in campo i 5 che si sono inginocchiati prima dell’inizio della partita per sostenere Black Lives Matter”. Non è vero e chi ha visto la partita lo sa benissimo.

L’asse portante

A non aver vacillato e retto l’impianto di gioco, ieri sera, è stato l’asse portante dei tre titolari in campo: Donarumma, Bonucci, Jorginho. Con l’altro titolare sulla carta: Verratti. Nessuno di loro si è inginocchiato. Eppure, ad essere onesti – ed è estremamente importante esserlo, sempre ma in questi casi più che mai – non è neppure questo il punto. Perché anche se i migliori in campo fossero stati, poniamo, Bernardeschi ed Emerson Palmieri, non lo sarebbero stati perché si sono inginocchiati come fa intendere il Corrierone. Come se compiendo quel gesto avessero ricevuto una benedizione divina o una particolare energia extra terrestre. Suvvia, non diciamo fesserie.

Ora restiamo in piedi

Ora si badi, in vista degli ottavi di finale la pressione mediatica e politica crescerà. Verrà chiesto continuamente alla nazionale italiana di inginocchiarsi, per dimostrare di non celare alcun razzismo latente. Gli strilloni del pensiero unico non faranno altro che invocare quel gesto. E non sappiamo se giovani calciatori, non scienziati politici, cederanno oppure decideranno di tenere ancora una volta la testa alta. Oggi in Italia abbiamo una classe politica e giornalistica che tende ad allinearsi supinamente al verbo dominante. E in questa direzione manda facilmente i più giovani. Il paragone con l’Ungheria o con altre nazioni che viceversa non si piegano è dunque infattibile. Eppure qualcosa ci dice che possiamo reggere di nuovo, possiamo giocare di nuovo il miglior calcio di tutti evitando di cedere alle sirene di chi calcio e identità nazionali in realtà li disprezza. Di chi non compie gesti simbolici di fronte ai morti sul lavoro e neppure di fronte alle multinazionali che schiavizzano i bambini in Africa. Forza ragazzi, restate in piedi, e mostrate ancora una volta che c’è un’Italia che non si inginocchia e che non si arrende facilmente.

Eugenio Palazzini

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