L’ammiraglio De Felice spiega all’ingenua Lamorgese come fermare l’invasione: “Pattugliamenti e blocco navale in Africa”

Di Adolfo Spezzaferro – Roma, 12 mag – “Vi spiego perché la Lamorgese sbaglia a dire no al blocco navale per fermare gli sbarchi“: parola dell’ammiraglio (ris) Nicola De Felice, secondo il quale il flop della titolare del Viminale condanna l’Italia a dover fronteggiare ancora una volta da sola l’emergenza immigrazione. L’Italia in effetti con la politica dei porti aperti del governo Draghi rischia una vera e propria invasione, con 70mila immigrati pronti a partire per le nostre coste ora che il meteo è favorevole.

Abbiamo fatto il punto con De Felice, esperto di gestione dei flussi migratori e soprattutto di Legge del mare, per capire cosa si potrebbe fare invece di limitarsi a sperare che i Paesi Ue accettino i ricollocamenti degli immigrati sbarcati in Italia. La soluzione, spiega De Felice, è fare “accordi con Tunisia e Libia per un pattugliamento navale e terrestre misto Paese europeo-Paese costiero nelle acque territoriali africane per lottare contro i trafficanti“.

Ammiraglio, sbarchi triplicati quest’anno e il peggio deve ancora venire

“Quello a cui stiamo assistendo è un clamoroso flop del ministro dell’Interno Lamorgese. L’Italia ancora una volta infatti è lasciata sola dall’Europa. E dal meeting in Portogallo non è arrivata alcuna risposta concreta per ricollocare i migranti che sbarcano sulle nostre coste. Dal 2018 solo 1.273 migranti sono stati trasferiti dall’Italia ad altri Stati, a fronte degli oltre 80 mila sbarcati”.

Cosa succederà ora?

“La strategia italiana di puntare sui ricollocamenti è dunque perdente ed apre ad un’estate ‘calda’ valutando che, se non si cambia metodo, è molto probabile l’arrivo sulle coste siciliane, sarde e salentine di circa 70mila clandestini (e non profughi, quindi comunque non ricollocabili)”.

Per la grande gioia di scafisti e filiera dell’accoglienza

“Un business estivo per i criminali mercanti di esseri umani di circa 350 milioni di euro di solo pedaggio dei clandestini per il trasporto verso le coste italiane o sottobordo alle navi Ong. Un affare per il mondo dell’accoglienza in Italia di circa 100 milioni di euro, tutti a carico del contribuente”.

E la posizione della Ue?

“Se la visione di Bruxelles è condivisibile: ‘Evitare le partenze all’origine’, come ha spiegato il commissario agli Affari interni, Ylva Johansson, non è altrettanto condivisibile l’obiettivo, in quanto non praticabile, cioè: ‘migliorare le condizioni di vita e la protezione delle persone in Libia’”.

Cosa propone come alternativa più efficace per fronteggiare l’emergenza?

“La strategia che propongo è sempre la stessa: accordi con Tunisia e Libia per un pattugliamento navale e terrestre misto Paese europeo-Paese costiero nelle acque territoriali africane per lottare contro i trafficanti, evitare i morti in mare e continuare a sostenere i rimpatri “spontanei e spintanei” verso i Paesi di origine”.

Una soluzione potrebbe essere il blocco navale, dunque. Ma la Lamorgese, intervistata da Avvenire, dice che non si può fare, che è “una misura di guerra” e quindi “non si può applicare, poiché contrasta con le disposizioni che vietano il ricorso all’uso della forza nelle relazioni tra Stati”…

“Le cose non stanno così. Per blocco navale non si deve intendere tout court quello previsto dalla Carta dell’Onu, inteso quale atto di difesa degli interessi nazionali nei confronti di un’altra nazione non collaborativa, evidentemente ostile. Ma deve essere inteso ed attuato attraverso un accordo con il governo tunisino che permetta l’attuazione di un sistema di sorveglianza e di un pattugliamento misto europeo-tunisino di forze navali nelle acque territoriali tunisine con mezzi e strumenti messi a disposizione o finanziati dell’Unione europea.

Un blocco navale ristretto, insomma?

“Esattamente. Il blocco deve essere inteso diretto solamente verso i trafficanti di esseri umani in modo tale che sia stroncato ogni tentativo di far partire i barconi o i gommoni dalla terraferma. In sostanza si deve permettere alla Tunisia di dotarsi anche a terra di una rete di quei sistemi di video e radar sorveglianza che, attraverso una centrale operativa appositamente creata e dove sono presenti anche esperti europei, possa controllare sin dall’inizio i movimenti illegali dei clandestini e dei criminali mercanti di esseri umani”.

Pertanto è necessario coinvolgere la Ue?

“Sì. La presenza di forze europee sia a terra che in mare è fondamentale per sostenere le esigue forze tunisine e per evitare tentativi di collusione e complicità da parte di agenti locali corrotti. La stessa cosa va fatta con la Libia. Voglio ricordare che simile metodo è stato applicato, con successo, in Somalia negli anni ‘90 per combattere il fenomeno della pirateria in quelle acque”.

Adolfo Spezzaferro

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