Caso Grillo, vergognoso silenzio delle femministe di sinistra: accanite con Genovese, mute col figlio del leader M5S

Di – All’inizio era solo un dubbio, un’idea, un caso di scuola giuridico. Ora la questione sta emergendo anche come una sorta di senso di colpa del mondo femminista. I piani sono diversi, ma il principio di fondo appare identico, come le facce di una stessa medaglia fatta di due pesi e due misure. Il primo a lanciare il sasso nello stagno era stato il direttore di questo Giornale il giorno successivo alla sparata di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro.

Alessandro Sallusti si accorse di una “anomalia” in particolare, ovvero il fatto che “un’inchiesta per stupro che coinvolge il figlio di un leader di governo sia stata tenuta nel cassetto a differenza di qualsiasi altra” e che l’accelerazione sia arrivata “poche settimane dopo che i grillini hanno perso il controllo del ministero della Giustizia”. Possibile? Sarebbe giuridicamente gravissimo, e per ora resta solo un’ipotesi. Ma questo usare i guanti bianchi nei confronti dei Grillo si è sicuramente registrato nel mondo dei media, dei commentatori e delle indignate di professione. Il vicedirettore Nicola Porro fece infatti notare che la “gogna mediatica” contro il figlio – denunciata dal comico in quel filmato – in realtà non ci sia mai stata.

Anzi: “Della vicenda ne hanno parlato in pochissimi, tutti gli altri si sono mossi in punta di piedi, per non disturbare l’inciucione tra pentastellati, Pd, Matteo Renzi e Leu”. Altrimenti che dovrebbe dire “Fausto Brizzi, vittima di accuse montate, ma linciato e sputtanato in men che non si dica”? Il terzo indizio, e chissà se fa una prova, lo confeziona oggi la scrittrice Camilla Baresani su Domani. Già, perché dopo il video dell’Elevato si sono sollevate tante voci di protesta, anche dal mondo femminista di sinistra, ma prima dello sfogo in poche avevano provato lo stesso “stimolo ad intervenire”. Perché? “La lunghezza dell’iter investigativo mi sembrava anomala – scrive Baresani -, l’oblio che avvolgeva il caso mi stupiva e la vicenda toccava profondamente il mio senso di ingiustizia”.

Come mai allora starsene zitte, “quando invece sulla vicenda di Alberto Genovese e su tanti altri presunti stupri non ancora arrivati al rinvio a giudizio siamo state ben più loquaci”? Smanettando un po’ online il divario appare in tutta la sua sproporzione. Dopo le notizie su Genovese, per dire, il movimento “Non una di meno” protestò sotto gli uffici dello “stupratore” a Milano. Non appaiono invece iniziative simili a Genova quando emerse per la prima volta l’indagine ai danni di Grillo. Perché cotanto silenzio?

Ora, da garantisti viene da dire che la retta via sarebbe proprio questa: attendere la fine del processo prima di condannare chicchessia alla gogna mediatica. Sarebbe sintomo di civiltà giuridica raggiunta, anche perché la colpa dei padri non può mai ricadere sui figli. Figuriamoci il contrario. Ma il problema in questo caso sono i due pesi e le due misure utilizzate. Nel caso di Genovese (che poi tanto diverso da quello di Ciro Grillo non è) l’indignazione fu unanime e la solerzia della procura immediata. E non è che il fondatore di Facile.it fosse più “famoso” del figlio dell’Elevato grillino. No. Anche sul presunto stupro in Sardegna “c’era ogni possibile elemento per avviare una riflessione e quantomeno fare notizia”. C’erano l’isola festaiola, la compagnia di ragazzi benestanti, le ragazze milanesi, il padre politico col vizio di fare il moralista con le vicende giudiziarie degli altri. Insomma: tutte le carte in regola per sentire la voce sdegnata di femminismi e “#senonoraquando” di turno.

E invece? Invece abbiamo registrato solo una “cappa di silenzio”, una “soffusa indifferenza”. Perché? Ipotizza Baresani: “Abbiamo forse temuto che, parlandone, potessero incrinarsi le basi dell’alleanza di governo tra Cinque stelle e Pd, dando così un contributo al ritorno del centrodestra al governo?” La domanda è legittima. E la riflessione tragica. Perché se fosse davvero questo il motivo, minerebbe alla base la credibilità di un movimento che si strilla sempre tranne quando c’è il rischio di coinvolgere interessi di parte, solitamente dalla parte sinistra. Che poi in fondo è il solito, stranoto, giochino che da tempo si manifesta sulle violenze contro le donne: se la vittima è un ministro di centrodestra o una leader di Fratelli d’Italia, anche l’odio è lecito. Doppiopesismo à la gauche.

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