I Bitcoin consumano tanta energia. Che proviene in gran parte da fonti inquinanti. Un dilemma etico


Tutti parlano di criptovalute e in particolare di bitcoin, grazie anche al fatto che il controvalore dei bitcoin è salito vertiginosamente. Chi ha comprato bitcoin un anno fa oggi ha ben 12 volte l’investimento iniziale.

Ma questa corsa all’oro digitale ha anche un risvolto ecologico che non va trascurato. Ogni creazione di bitcoin e ogni transazione richiede complicatissimi calcoli matematici, che richiedono enormi potenze di calcolo. A loro volta, queste potenze di calcolo richiedono computer altrettanto potenti, che consumano energia. Tanta energia. E molta di questa energia viene prodotta usando fonti altamente inquinanti.

Non solo: la matematica dei bitcoin è fatta in modo che man mano che aumenta la potenza di calcolo disponibile aumenta anche la difficoltà dei calcoli, per cui aumenta anche il consumo di energia.

Secondo una stima del Cambridge Centre for Alternative Finance, pubblicata presso Cbeci.org, nel 2019 la generazione di bitcoin consumava più energia dell’intera Svizzera: 77 terawattora ogni anno (la Svizzera ne ha consumati circa 57). Oggi, nel 2021, questo consumo stimato di energia è salito a 127,7 TWh/anno, ossia più di Norvegia o Argentina, mentre il consumo svizzero è lievemente diminuito (-0,8%).

Queste stime hanno ampi margini d’incertezza, ma la tendenza è chiara: i consumi derivanti dall’uso dei bitcoin stanno aumentando. Oggi rappresentano lo 0,6% dei consumi totali di elettricità del pianeta. A titolo di paragone, tutti i datacenter del mondo consumano 199 TWh/anno.

Se volete un altro paragone, e se non ho perso qualche zero per strada, 127,7 TWh sarebbero sufficienti a far fare oltre 100.000 km a tutte le auto della Svizzera (circa 6 milioni di veicoli) o 16.000 km a tutte le auto d’Italia (circa 39 milioni) se fossero tutte elettriche (stimando 0,2 kWh/km).

Il 65% dell’hashrate (la potenza di calcolo complessiva usata per generare bitcoin e gestirne le transazioni) si trova in Cina.


Inoltre circa i due terzi dell’energia consumata per gestire i bitcoin proviene da fonti fossili, e questo significa che i bitcoin hanno un impatto ambientale significativo. Investire in bitcoin e presentarsi come sostenitori dell’ecologia, come ha fatto per esempio Tesla a febbraio scorso, è un controsenso.

Ma probabilmente l’obiezione principale all’adozione su vasta scala dei bitcoin è il numero di transazioni gestibili: attualmente è meno di sette al secondo ed è tecnicamente difficilissimo aumentarlo. Non si può pensare di usare questa criptovaluta per gestire gli scambi dell’economia mondiale.

 


A titolo di confronto, la rete informatica di un singolo gestore di carta di credito, come Visa, ha una capacità teorica di 65.000 transazioni al secondo.

In altre parole: per come stanno le cose ora, i bitcoin non hanno alcuna possibilità di sostituire le monete convenzionali e producono molto inquinamento. Altre criptovalute possono far di meglio, ma resta il dilemma del consumo di energia, inevitabile per qualunque criptovaluta basata sul proof of work e in generale per qualunque tecnologia basata sulla blockchain.

Per cui mi sa che liquiderò i miei pochi bitcoin: mi arrendo al fatto che non sono eticamente sostenibili.


Fonti aggiuntive: BBC, BBC.

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