Piano rom, disastro di Raggi e M5S. E i nomadi attaccano: “Non ci danno soldi… Vogliamo la casa popolare” (Video)

Di –  – Alloggi e “corsi di formazione” per i rom su igiene, pulizia, gestione del tempo e genitorialità. Per questo il Comune di Roma ha messo sul piatto ben 1,7 milioni di euro. Soldi che si vanno ad aggiungere ai 12 milioni spesi sinora per i progetti di inclusione abitativa. L’obiettivo della giunta di Virginia Raggi è trovare una sistemazione nel più breve tempo possibile ai rom che vivono negli insediamenti di Barbuta e Monachina che avrebbero dovuto chiudere i battenti entro la fine del 2020. Ma stando alle ultime dichiarazioni della sindaca la fuoriuscita degli inquilini avverrà entro fine mandato.

Il tempo stringe anche per la chiusura dell’area F della baraccopoli di Castel Romano, che si trova nella riserva naturale di Decima Malafede ed è stata sequestrata la scorsa estate nell’ambito di un’inchiesta per reati ambientali. All’interno dell’insediamento, dove vivono in totale 547 persone, sono stati firmati appena sei patti di responsabilità. In poche parole, solo venti inquilini hanno scelto di mettersi nelle mani del Comune per ottenere il bonus casa.

Il motivo? La mancanza di fiducia nei confronti del Comune. Nonostante il Campidoglio sia pronto a sborsare fino a 800 euro al mese per due anni per le spese dell’affitto, secondo gli abitanti del campo di Castel Romano, trovare un locatore che sia della partita è un’impresa praticamente impossibile. “Io ho trovato una casa da affittare – ci racconta un uomo che vive proprio all’interno dell’area F – però le agenzie e i privati non vogliono fare il contratto con il Comune, perché sanno che loro pagano sempre in ritardo”.

Il caso più emblematico è quello di uno degli sfollati del Camping River che abbiamo raggiunto al telefono. “Dopo lo sgombero siamo rimasti per settimane accampati alla stazione di Prima Porta, per questo abbiamo deciso di firmare il patto di responsabilità”, ci spiega al telefono la nostra fonte chiedendo di rimanere anonima. “All’inizio gli accrediti da parte del Comune erano regolari, poi dallo scorso gennaio si sono interrotti, il Comune non paga da un anno”. Il rischio per il nostro interlocutore è quello di ritrovarsi presto in mezzo alla strada. “Adesso – prosegue – l’affitto non lo paghiamo più e sappiamo che prima o poi verremo sfrattati e torneremo a vivere da accampati”.

Abbiamo chiesto spiegazioni allo staff della sindaca e al telefono ci hanno spiegato che “l’erogazione dei contributi è legata al rispetto dei parametri del contratto di solidarietà”. Tra questi ci sono “la partecipazione ai corsi di formazione, i colloqui di lavoro e la frequenza scolastica”. “È possibile – dicono dal Campidoglio – che non abbiano dato seguito a questi obblighi”. La famiglia che ha denunciato il fatto però sostiene il contrario. Così negli insediamenti romani la maggior parte delle persone preferisce mettersi in lista per ottenere una casa popolare.

“Tantissimi le hanno già prese, è un nostro diritto, tutti noi abbiamo presentato la domanda”, ci spiega un’anziana residente all’interno dell’accampamento. Secondo un’altra donna che si inserisce nella conversazione almeno una ventina di famiglie del campo avrebbero già in mano le chiavi degli alloggi. Il sentimento predominante tra i nomadi è la diffidenza.

Per Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio, gli ultimi bandi pubblicati dal Comune per cercare sistemazioni temporanee agli abitanti dei campi sarebbero l’ennesimo spreco di denaro pubblico. “Sono stati stanziati quasi due milioni di euro per fornire a sessanta persone un’accoglienza che va dai sei mesi ad un anno, con tanto di corsi sull’igiene e sulla cura della famiglia, non è questo – denuncia l’attivista – quello di cui ha bisogno la città”. “Chi vive nei campi – va avanti Stasolla – vuole risposte concrete, e questa ci sembra soltanto una mossa in extremis per portare a casa qualche risultato prima delle elezioni”.

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