Così il nigeriano ha trucidato con 15 coltellate la moglie: “Era una belva, non siamo riusciti a fermarlo”

Di Monica Andolfatto – Vivranno sempre con il rimorso di non aver fatto abbastanza per salvare Victoria. Eppure ci hanno provato. Eccome se ci hanno provato. Anche rischiando la propria di vita. Perché Moses era come una belva incapace di ragionare, incapace di fermarsi. Nemmeno di fronte al suo primogenito che lo implorava di smettere. Ci sono due testimoni oculari dell’efferato femminicidio di Concordia Sagittaria. Ascoltati dal sostituto procuratore Carmelo Barbaro, titolare dell’inchiesta, e dai carabinieri di Portogruaro, hanno contribuito a ricostruire lo sfondo e le fasi della mattanza che si è consumata nella casa di via Silvio Pellico dove Moses Osagie, 42 anni, nigeriano, ha trucidato a coltellate la moglie Victoria, di 6 anni più giovane.

La donna è stata raggiunta da almeno 15 fendenti che l’hanno devastata e dissanguata: sarà l’autopsia a rendere ancor più aderente alla realtà, la ferocia con cui è stata aggredita e massacrata. Sono due connazionali ad aver assistito in diretta all’inizio della furibonda lite che poi si è trasformata in quella che sembra quasi un’esecuzione sommaria e atroce. Uno è il convivente della coppia che, in cambio di vitto e alloggio, di fatto si occupava dei tre bambini per consentire ai genitori di poter recarsi al lavoro. L’altro, amico dell’uomo da tempo era stato chiamato per aiutarlo in alcune pratiche burocratiche on line: si erano conosciuti a San Donà, entrambi dipendenti della stessa cooperativa di traslochi. Nemmeno loro sanno spiegare cosa abbia scatenato la reazione furibonda di Moses, da sempre geloso, molto geloso. E che al suo legale, l’avvocato Sergio Gerin, dirà durante l’interrogatorio che era certo che da almeno tre mesi lei avesse una relazione stabile con un uomo di San Donà.

IL TENTATIVO

Il più scosso è il convivente. È lui che quando ha visto Moses accanirsi su Victoria con il coltello in mano, ha tentato di frapporsi, di fermarlo, di disarmarlo. «Mi ha colpito a una mano, ho avuto paura, ma almeno mi pareva si fosse calmato», avrebbe dichiarato agli investigatori. Mai avrebbe ipotizzato che di lì a poco Moses avrebbe preso un altro coltello, o un altro arnese con cui straziare a morte la moglie. Sequenze concitate, terribili, dolorose da ripercorrere, da ricordare, da descrivere con la logicità che un verbale vuole. Sequenze orribili da accettare. All’altro aveva gridato di prendere i piccoli e di portarli fuori perché non rimanessero traumatizzati e anche perché, forse, temeva per la loro stessa incolumità. Erano raggomitolati in un angolo della camera dove il padre aveva cominciato a picchiare la madre. Anche l’amico ha cercato di far ragionare Moses e anche lui credeva che la situazione in qualche modo fosse sotto controllo pur se a fatica: fronteggiare un colosso come il 42enne, con il fisico temprato dai lavori pesanti, e con la testa alterata dall’alcol non era facile: specie con un coltello in mano e completamente fuori di sé.

LA FURIA

Entrambi avrebbero detto che era come una furia, incontrollabile, potente, distruttiva. Cieca. E avrebbero ripetuto più volte che erano terrorizzati. Sangue. Sangue, Sangue. Dappertutto. Tanto che l’amico alla fine sarebbe scappato, mentre il convivente è rimasto con i bimbi, all’esterno chiedendo ai vicini di chiamare i carabinieri. Negli orecchi le urla disperate di Victoria che cercava di sottrarsi a quello che si era trasformato nel suo lucido carnefice. «Non sono riuscito a trattenere i due bambini più grandi che sono corsi dentro e che hanno visto tutto. Ma lui – avrebbe dichiarato il convivente – non ha ritrovato la ragione nemmeno di fronte al loro sguardo atterrito. Una scena orrenda, ho pensato solo di riprenderli ed evitare loro altro strazio». La stessa preoccupazione del difensore di Osagie, che ha consigliato al suo assistito di confessare per evitare al primogenito di dover essere ascoltato in sede protetta e quindi rivivere l’incubo che ha sconvolto per sempre insieme alla sua anche l’esistenza delle sorelline.

Monica Andolfatto

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