Le conseguenze Spaziali dell’invasione Russa: il punto della situazione

Di fronte alle morti, alle sofferenze e alla distruzione che stanno colpendo l’Ucraìna, parlare degli effetti dell’invasione russa sulle attività spaziali può sembrare insensibile o perlomeno secondario. Ma il dramma principale è ben documentato dal giornalismo generalista; l’aspetto spaziale molto meno, e qui forse posso dare un contributo.

Prima di tutto, non c’è alcun pericolo immediato di caduta della Stazione Spaziale Internazionale. È vero che Dmitri Rogozin, direttore dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, ha pubblicato una serie delirante di tweet nei quali in sostanza ha minacciato di lasciare che la Stazione precipiti, visto che la sua stabilità orbitale dipende dalla sezione russa del complesso spaziale. Ma Rogozin è noto, fra gli addetti ai lavori, per le sue sparate incoerenti. 

Quello che conta è la realtà tecnica: la Stazione Spaziale Internazionale si trova a circa 400 km di quota, in orbita intorno alla Terra a circa 28.000 km/h, e a quella quota l’atmosfera terrestre è incredibilmente tenue ma esiste ancora, per cui la Stazione viene lentamente frenata dalla resistenza aerodinamica e di conseguenza perde lentamente quota. Periodicamente è necessario un reboost, ossia un’applicazione di un spinta per riaccelerarla e farle riprendere quota. Il grafico di queste variazioni di quota è disponibile per esempio presso Heavens Above

 

Questa spinta viene solitamente applicata dai motori di manovra del modulo Zvezda, che fa parte della sezione russa della Stazione, oppure dai motori di una navetta Progress attraccata alla Stazione. In questo senso è corretto dire che il mantenimento della quota orbitale normalmente dipende dai russi. Tuttavia il reboost può essere effettuato anche da veicoli non russi. Lo ha fatto in passato il veicolo europeo ATV (ora non più operativo) e nel 2018 questa capacità è stata dimostrata sperimentalmente da un veicolo cargo Cygnus ed è poi diventata operativa di recente con un nuovo reboost. 

Fra l’altro, la Cygnus viene messa in orbita da un vettore Antares, il cui primo stadio è costruito in Ucraina e ha motori russi, mentre il secondo stadio è statunitense e la Cygnus ha molti componenti strutturali europei (Scott Manley). Sventolii di bandiere a parte, le interdipendenze spaziali sono tante.

La situazione è leggermente più delicata per un altro tipo di manovra, ossia lo spostamento per evitare collisioni con detriti spaziali. Qui la dipendenza dai russi è più forte, ma se i rapporti di cooperazione dovessero davvero deteriorarsi fino a questo punto ci sarebbe la possibilità di utilizzare i motori di manovra delle capsule cargo Dragon o quelli delle capsule con equipaggio Crew Dragon. Ovviamente si tratterebbe di un’operazione nuova, da collaudare con estrema cautela, ma fattibile, e la NASA ha già dichiarato di aver esplorato concretamente questa ipotesi.

Per ora, comunque, in concreto non ci sono cambiamenti alla situazione di bordo. La Progress 79 russa ha effettuato regolarmente un reboost a fine febbraio. Sulla situazione personale a bordo bocche cucite: i due russi, Anton Shkaplerov e Pyotr Dubrov, i quattro statunitensi Mark Vande Hei, Kayla Barron, Raja Chari e Thomas Marshburn e l’europeo Matthias Maurer non commentano gli eventi. Kathy Lueders, associate administrator della NASA per le attività spaziali, ha detto che le operazioni della Stazione non sono cambiate: “Non stiamo ricevendo indicazioni, a livello operativo, che le nostre controparti non siano impegnate a continuare l’attività della Stazione... operiamo esattamente come operavamo tre settimane fa” (Spacenews).

Non ci sono indicazioni, al momento, di alcun cambiamento nel lancio dell’astronauta europea Samantha Cristoforetti insieme agli statunitensi Kjell Lindgren, Robert Hines e Jessica Watkins a bordo di una capsula Crew Dragon previsto per il 15 aprile. Nessun cambiamento è annunciato anche per il lancio della Soyuz MS-21 russa da Baikonur con tre cosmonauti russi (Oleg Artemyev, Denis Matveev e Sergey Korsakov) verso la Stazione il 18 marzo e per il rientro di Shkaplerov e Dubrov il 28 marzo.

Per contro, sembrano esserci problemi per quanto riguarda il braccio robotico europeo ERA che è installato a bordo del modulo russo Nauka della Stazione: le sanzioni internazionali potrebbero rendere impossibile la collaborazione russo-europea, rendendo problematica la manutenzione e l’evoluzione del modulo Nauka, che dipende in gran parte da questo braccio telecomandato.

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Le cose vanno meno bene allo spazioporto europeo di Kourou, nella Guyana francese; i russi hanno deciso di richiamare il loro personale presente e di sospendere le attività del vettore Soyuz che avrebbe dovuto portare in orbita una coppia di satelliti di navigazione europei Galileo ad aprile.

Un altro atto concreto derivante dall’invasione russa dell’Ucraina è l’interruzione delle attività del telescopio a raggi X eRosita, che è tedesco, a bordo del satellite di ricerca scientifica russo Spektr-RG, situato a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra.

Anche un’altra collaborazione europea con la Russia è ora fortemente compromessa: un vettore russo Proton avrebbe dovuto lanciare la missione robotica ExoMars verso Marte a settembre dal cosmodromo di Baikonur, e la sonda avrebbe dovuto usare un modulo russo, Kazachok, per l’atterraggio su Marte, ma l’Agenzia Spaziale Europea ha dichiarato che questo lancio è ora “molto improbabile”. Le leggi inesorabili della meccanica orbitale implicano che la missione dovrà aspettare altri due anni prima della prossima finestra di lancio.

Sul piano commerciale, inoltre, Rogozin ha dichiarato che se la Russia non riceverà entro il 4 marzo prossimo garanzie che i satelliti commerciali per telecomunicazioni OneWeb non verranno usati per scopi militari, il loro lancio a bordo di un vettore Soyuz, previsto per il 5 marzo da Baikonur, non avverrà.

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