“Tratta di esseri umani sulle coste italiane”: parte la denuncia al Tribunale di Taranto contro le ONG

Di Eliseo Bertolasi Nel maggio del 2020, due avvocati del foro di Milano, Giuseppe Pellegrino e Alberto Ferrari dell’Associazione Civitas, hanno sporto denuncia al Tribunale di Taranto contro le ONG Sea-Eye, Open Arms, SOS Mediterranée e Sea-Watch per “tratta” di esseri umani. Il GIP di Taranto sta valutando l’archiviazione del caso.

L’ipotesi di reato del caso non è la semplice agevolazione dell’immigrazione clandestina, ma la “tratta di esseri umani” . Secondo Civitas, le ONG, infatti, con l’attività di recupero e trasporto per mare, altro non fanno che completare l’attività delle organizzazioni criminali libiche, che fondano sulla riduzione in schiavitù il proprio illecito commercio attraverso il deserto del Sahara e le acque del Mediterraneo.

L’avvocato Giuseppe Pellegrino ha commentato a Sputnik Italia lo sviluppo processuale di questo caso giudiziario:

— Innanzitutto, da dov’è partita l’idea di denunciare le ONG per “tratta”?

— Le ONG sono il capitolo finale di una lunga storia: una storia che attraversa i paesi sub-sahariani per un tratto che varia dai mille ai quattro mila chilometri di lunghezza, a seconda dei luoghi di provenienza; che prosegue attraversando il deserto del Sahara per altri duemila chilometri ed il territorio libico per altri mille chilometri ancora. Un tragitto lungo il quale i trafficanti di esseri umani, senza esitare a ricorrere all’omicidio ed alla tortura, si arricchiscono tramite l’estorsione ai danni delle famiglie, lo sfruttamento della schiavitù ed – ancor peggio – della schiavitù sessuale ai danni delle donne che percorrono le rotte migratorie.

Un unico servizio le organizzazioni criminali non riescono ad effettuare: raggiungere il suolo europeo. Ed ecco che si scatena il pretesto dei naufragi, che consente alle organizzazioni criminali libiche di aumentare gli imbarchi a costi alquanto contenuti, utilizzando gommoni assemblati in modo tale da non consentire l’attraversamento del Mediterraneo senza l’intervento “umanitario” delle organizzazioni non governative, che si ripropongono come scopo associativo non di garantire la sicurezza della navigazione, ma il trasporto di migranti da un continente all’altro a fini umanitari.

Le ONG non sono l’unico protagonista chiamato a rispondere: in sede internazionale si è denunciata nei particolari l’intera filiera avanti alla Corte Penale dell’Aja. Avanti alla magistratura italiana sono state denunciate le condotte consumate sul territorio italiano, ivi comprese le acque territoriali.

Poca attenzione al contrasto della “tratta” di esseri umani

— Come colloca questo caso nel contesto della situazione contingente?

— In giorni in cui il dissenso a confuse politiche di governo si manifesta mediante incontrollata violenza, Civitas risponde con rigore istituzionale, richiamando l’Autorità giudiziaria ad un’applicazione rigorosa della legge: altrettanto ci si attende in sede politica, mediante il richiamo ai doveri di istituto di tutta la catena di comando e controllo sulle navi da guerra italiane che incrociano il Mar Mediterraneo.

Mentre si concentra l’attenzione sul piano operativo alla repressione delle proteste di piazza contro il green pass, nulla si fa per contrastare il trasporto condiviso tra organizzazioni non governative europee ed organizzazioni criminali libiche di persone ridotte in schiavitù; al tempo stesso, sul piano mediatico, mentre si concentra l’attenzione sulla qualificazione politica del malcontento delle piazze, nessuna parola viene spesa sul prosieguo indisturbato di tale criminale commercio.

— Secondo Lei, perché queste esitazioni da parte del Tribunale di Taranto?

— L’intero paese è in difficoltà istituzionale su una molteplicità di fronti, tra cui quello migratorio. È evidente il ritardo di iniziativa nella tutela delle frontiere, come in altri settori di interesse comune, come la sanità, l’energia e la salvaguardia delle infrastrutture. Il ruolo di Civitas è molto limitato: contrastare la diffusione della schiavitù e del commercio di esseri umani sul territorio italiano, un fenomeno molto più diffuso di quanto non si pensi comunemente.

— Avvocato, cosa si aspetta da un PM che deve assicurare la legalità sul suo territorio?

— Questo è il punto: questa terra ci appartiene. Come cittadini, dobbiamo rispettarla e conservarla in ordine; come istituzioni, il compito si estende alla tutela. Per questo, le denunce (Taranto è solo una sede su quattro) sono state depositate nei circondari dei porti e non nelle sedi distrettuali anti-mafia, competenti per questo genere di reati. Dall’ufficio del Pubblico Ministero, che vede attraccare un carico di schiavi in porto, mi attendo la reazione immediata, con gli arresti ed i sequestri del caso, salvo poi trasferire gli atti agli uffici competenti.

Esito ancora incerto

— Qual è la sua previsione sull’esito di questo caso?

— Difficile prevederlo: noi siamo semplici avvocati abituati ad affrontare liti comuni; gli associati di Civitas sono comuni cittadini. Nessuno di noi è un professionista dell’anti-mafia e del contrasto alla criminalità internazionale.

Perché mai dovremmo pensare di essere stati noi i primi ad accorgersi del radicamento della riduzione in schiavitù e del commercio di esseri umani sul territorio italiano attraverso il Mar Mediterraneo? Non prevedo che la nostra azione possa cambiare un gran che nella prassi fin qui seguita dagli uffici: siamo di fronte ad un muro di una diga costruita con criteri tutt’altro che casuali. Il nostro operato non potrà certamente demolire l’intero muro, ma può scavare sui singoli mattoni che lo compongono, ovvero sulla responsabilità dei singoli magistrati che saranno chiamati a decidere.

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