La psicologa Sara Reginella: “Le mascherine in classe? Esiste un reale rischio di discriminazione tra i bambini”

Di Eliseo Bertolasi  Il 13 settembre gli studenti torneranno in classe; nonostante il vantaggio di poter seguire le lezioni in presenza si prospettano nuove problematiche, non tanto per le lezioni, ma per le tensioni che si potranno creare all’interno delle classi tra gli stessi studenti. I ministri della Salute Roberto Speranza e dell’Istruzione Patrizio Bianchi hanno annunciato che si potrà togliere la mascherina in classe se tutti sono vaccinati.

Di fatto, da questa affermazione si apprende che chi tra gli studenti non si sottoporrà all’inoculazione del vaccino, non solo in classe dovrà indossare la mascherina, ma obbligherà tutta la classe stessa ad indossarla, vaccinati compresi. Andando nel pratico, difficile non immaginare le tensioni che si creeranno tra gli studenti, dove i “non vaccinati”, in un qualche modo verranno ritenuti “colpevoli” dell’obbligo generalizzato della mascherina da parte dei “vaccinati”.

A lanciare l’allarme anche il presidente dell’Anp (l’Associazione Nazionale Presidi), Antonello Giannelli: Nelle classi ci sarà sempre qualcuno di non vaccinato. E questo creerà una situazione di disagio, con il rischio di emarginazione da parte dei ragazzi che vorrebbero levare la mascherina”. Per avere un’idea delle possibili ricadute sulla psiche degli studenti, Sputnik Italia ha contattato la dottoressa Sara Reginella, psicologa e psicoterapeuta relazionale che da anni lavora con l’infanzia e l’adolescenza.

— Dottoressa quali saranno le conseguenze per quei ragazzi e ragazze non vaccinati che per “colpa” loro costringeranno tutti gli altri a indossare la mascherina? Non saranno sottoposti ad una pressione difficile da gestire emotivamente?
— Premetto che non voglio entrare nella querelle di questi giorni tra vaccinati e non vaccinati, non avendo le conoscenze mediche necessarie per dare giudizi di valore.
Vorrei limitarmi a un’osservazione di quanto sta accadendo nel nostro paese, su un piano relazionale.
Personalmente, credo in una scuola che non discrimini, credo in una scuola in cui le differenze non diventino motivo di esclusione.
Il rischio che i giovani non vaccinati siano sottoposti a pressioni emotive esiste, ed è legato al clima da caccia alle streghe che si è creato in questi mesi.
I più giovani avrebbero bisogno di guide in grado di aiutarli a sviluppare consapevolezza, capacità riflessiva e sensibilità emotiva, guide adulte in grado di aiutarli a sviluppare il confronto con chi ha posizioni diverse. Oggi, invece, bambini e adolescenti assorbono l’aggressività dello scontro, rappresentato dai media, tra le posizioni dei vaccinati e quelle dei non vaccinati. Non colgo un clima di dibattito rispettoso, né su un piano umano, né su un piano scientifico.
I giovani vivono dunque in un clima in cui i media non fanno che fomentare lo scontro tra le parti, alimentando processi di stigmatizzazione. Pertanto, il pericolo che nelle classi gli studenti facciano da specchio a quello che vedono e sentono tutti i giorni, effettivamente c’è.
— Nelle dinamiche psicosociali di gruppo non c’è il rischio che questi soggetti possano diventare vittime di bullismo o di discriminazione?
— Si! Esiste il rischio di discriminazione, è legato all’atmosfera di odio di questi ultimi tempi. Se i media lavorassero per un confronto tra le diverse posizioni, questo rischio si assottiglierebbe.
Molte persone sono inoltre spaventate dalla confusione di informazioni cui sono state sottoposte in questi mesi. Rispetto al tipo di notizie contraddittorie, è legittimo che le persone si facciano delle domande, cui andrebbero date risposte pacate e obiettive.
Faccio questa premessa per dire che se vivessimo in un clima più tollerante, non sarei così allarmata per i giovani. Nel bullismo, infatti, l’aspetto discriminatorio, che nasce in seno alla società, si connette a episodi di violenza fisica, a soprusi psicologici, a mortificazioni. Alcuni giovani si sono tolti la vita perché vittime di discriminazione e bullismo e questo è un dato oggettivo su cui dovremmo riflettere, per creare un mondo più tollerante.
— Con questo rischio concreto, in che modo insegnanti e genitori potranno gestire e magari attenuare questa ennesima problematica? Cosa propone?
— Insegnanti, genitori e adulti dovranno accompagnare i più giovani, sin dall’infanzia, a sviluppare la capacità di tollerare chi, per vari motivi, ha posizioni diverse dalle proprie, in qualsiasi campo. Secondariamente, a livello sociale, andrebbe aperto un dibattito serio e ampio non solo sul tema delle vaccinazioni, ma anche su quello delle cure domiciliari, dei tagli alla sanità e della mortalità dovuta al crollo degli screening. I giovani hanno necessità di ispirarsi a modelli di adulti in grado di confrontarsi dialetticamente e in grado di insegnare loro la capacità di cogliere la complessità del mondo.
— Per anni nelle scuole la parola d’ordine è sempre stata “inclusione”, con la condanna di ogni forma di discriminazione. Ora dov’è finito questo approccio visto che è stata tracciata una severa linea di demarcazione tra “vaccinati” e “non vaccinati”?
— La capacità di inclusione si perde ogni qual volta viene meno la possibilità di comprensione. Si comprende con la mente, ma anche con il cuore. Non certo con l’odio.
— Come sostenuto dal dottor Anthony Fauci, con la consapevolezza che anche i vaccinati contro il Covid, soprattutto in relazione alla variante Delta, a loro volta posso essere infettati e infettare, come valuta questo obbligo?
— Sapendo che anche i vaccinati contro il Covid possono infettare, ritengo che tutti dovrebbero continuare a mantenere delle precauzioni. Ora, il rischio è che l’obbligo di indossare la mascherina solo in alcuni casi sia percepito non come una cautela sanitaria, ma come una sorta di punizione. Inoltre, si era sempre parlato della necessità di mantenere le precauzioni, pertanto mi colpisce questo repentino cambio di rotta. Detto questo, ritengo che una strada importante da seguire sia quella dello screening. Se prima di entrare in classe, si fosse sottoposti a un test salivare gratuito per rilevare l’eventuale presenza di Covid-19, scenderebbe il rischio di infettarsi e di infettare e le persone si sentirebbero più tutelate.

Se invece di fare terrorismo mediatico e fomentare lo scontro si puntasse su un’informazione obiettiva e rispettosa, le persone si sentirebbero più tutelate anche su un piano psichico. Invece, in un clima di questo tipo, temo davvero per i più giovani, ma la mia speranza è che docenti e genitori sappiano guidare le nuove generazioni verso un maggiore rispetto e una maggiore comprensione della complessità del reale.

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