No, non è uno scherzo. Il quesito choc dell’università: “Ma i buchi neri sono razzisti? Nel cosmo c’è razzismo?”

Di Cristina Gauri – Roma, 24 giu — Non occorre certamente una laurea in astrofisica per capire che il «nero» dei buchi neri non ha nulla a che vedere con questioni razziali, o razziste. Non la pensano così alla Cornell University, nello Stato di New York, dove il rettorato ha istituito un corso di astronomia che mira alla prevenzione degli stereotipi razzisti nel campo. Il titolo è tutto un programma: Buchi neri: la razza e il cosmo, sottotitolo: C’è una connessione tra il cosmo e l’idea dell’oscurità razziale?

Le “implicazioni razziali” dei buchi neri

Se a questo punto vi è venuta voglia di gettare il cellulare dalla finestra vi comprendiamo. Come riporta il NYPost, tutto nasce dalla scoperta fatta dai fisici del Massachusetts Institute of Technology e del SUNY Stony Brook. Gli studiosi hanno potuto dimostrare che due buchi neri mantengono la propria superficie totale dopo la fusione. Sebbene i risultati di questo studio siano stati una gradita conferma della teoria della relatività generale, per molti scienziati rimangono «implicazioni razziali irrisolte» da discutere quando si parla di buchi neri. Per il fatto che sono «neri». «Neri», perché al telescopio risultano di quel colore, obietterebbe qualsiasi persona sana di mente.

Lo sapevate? Esiste “La fisica dell’essere neri”

Sono di parere contrario il professore di astronomia Nicholas Battaglia e la professoressa di letteratura comparata Parisa Vaziri (chissà come mai, in queste diatribe fa sempre capolino una donna laureata in studi umanistici). Battaglia e Vaziri attingono a loro volta a teorici come la professoressa della Emory University Michelle Wright, il cui libro, The Physics of Blackness (La fisica dell’essere neri), invoca «le leggi del movimento e della gravità di Newton» e la «fisica teorica delle particelle» per «sovvertire le ipotesi razziste sull’oscurità». 

Mala tempora currunt

Del resto, tornando alla Cornell University e ai suoi corsi sui buchi neri, nel nome delle «quote rosa» il dipartimento di ingegneria del campus accetta le studentesse universitarie in numero doppio rispetto ai ragazzi, nonostante il punteggio medio conseguito dai maschi nei test di matematica sia significativamente più alto del punteggio medio femminile. Insomma, la scienza accademica, che per definizione dovrebbe porsi in contrasto con l’isteria e l’irrazionalità, è ostaggio della teocrazia ideologica che va sotto il nome di globalismo, in tutte le sue sfaccettature. Un regime in cui ciarlatani elevati al rango di professori confondono la retorica con la conoscenza e le emozioni con le leggi scientifiche. Viviamo in tempi tragici, anche se decisamente curiosi.

Cristina Gauri

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