Quando l’Italia sconfisse la tubercolosi senza lockdown, senza terrorismo sanitario e chiusure e col proprio vaccino

Di Lorenzo Maceri – Roma, 27 mar – La tubercolosi (Tb) è una malattia infettiva e contagiosa causata da un batterio, il mycobacterium tuberculosis, che nella maggior parte dei casi interessa i polmoni ma possono essere coinvolte altre parti del corpo. Negli anni venti, prima dell’avvento del Fascismo, in Italia la tubercolosi infettava ogni anno 600mila persone e causava oltre 60mila vittime. In particolare bambini. Eppure nel giro di pochi anni il regime riuscì a depotenziarla fino a sconfiggerla del tutto.

La nascita dei Consorzi provinciali antitubercolari

L’Italia intraprese la lotta statale alla tubercolosi nel 1927, con l’assicurazione antitubercolare obbligatoria per i lavoratori dipendenti. Avviando al contempo l’opera dispensariale e la costruzione della rete sanatoriale italiana.

Consorzi provinciali antitubercolari (Cpa) nacquero allo scopo di promuovere e agevolare l’impianto di opere necessarie alla lotta contro la tubercolosi e vigilare sulla protezione e l’assistenza sanitaria e sociale dei malati. Organi esecutivi dei Consorzi erano i dispensari, finalizzati a individuare i casi di tubercolosi (anche in forme latenti), all’educazione sanitaria e alla profilassi, all’assistenza morale e materiale ai malati (con particolare riguardo ai bambini), alla raccolta di dati per le statistiche e alla promozione di studi e ricerche. E’ del 1922, la Federazione nazionale italiana per la lotta contro la tubercolosi (Fnilt), come organo di collegamento dei 28 Consorzi provinciali antitubercolari esistenti e di unificazione delle associazioni operanti nel campo degli studi e dell’azione socio sanitaria antitubercolare.

Nel 1938 risultavano censiti sul territorio nazionale 94 Dispensari antitubercolari provinciali e 419 Sezioni dispensariali. Queste ultime potevano avere sede propria come i Dispensari provinciali o essere ospitate all’interno di strutture ospedaliere. In alcuni casi si trattava di sezioni “mobili” perché si spostavano nel territorio.

Il vaccino contro la tubercolosi e le strutture sanitarie

Il primo vaccino fu quello cosidetto “all’italiana”. Messo a punto dalla scuola di Edoardo Maragliano, fu utilizzato nei primi due decenni del Novecento. Successivamente arrivò, sempre dall’ Italia un secondo vaccino l’Anatubercolina integrale petragnani, che prende il nome del suo creatore, Giovanni Petragnani, rettore dell’ Università di Siena.

Una serie di strutture sanitarie pubbliche furono innalzate in tempi da record. Alcune tra queste sono ancora in piedi e rappresentano oggi come allora l’eccellenza italiana. Tra queste sono: tra i più notia Roma lo Spallanzani(1936), il San Camillo-Forlanini (1929), a Napoli il Cardarelli (1927), a Genova il Gaslini(1931). A questi si aggiungono centinaia di strutture minori e le tante realtà per la cura delle patologie polmonari. Nell’arco di tempo che va dal 1929 al 1936 si crearono oltre 20mila posti letto in 68 nuovi ospedali.

I risultati

L’Istituto centrale statistica del Regno d’Italia (l’attuale Istat), poté scrivere per il Duce nel 1934 una relazione relativa ai risultati della lotta contro la tubercolosi nella quale i morti per tubercolosi erano calati drasticamente. Il fascismo uscì vittorioso dalla lotta adottando strategie vincenti che non soltanto debellarono (almeno sino alla recente ricomparsa “d’importazione”) la malattia, ma anzi ci ha lasciato anche in eredità decine di strutture che sono tutt’ora attive. Tutto ciò senza distanziamento sociale, mascherine e Barbara D’Urso che insegue i passanti in elicottero.

Lorenzo Maceri

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