La Tunisia costruisce un muro lungo 200 km per fermare i clandestini: l’Italia apre i porti per accogliere i tunisini

Di Antonio Pannullo – Roma, 16 mar – C’è un muro in Tunisia. L’opportunità per parlare di muri di confine, e non di demagogici “ponti”, ce la offre il presidente della Repubblica Dominicana, Luis Abinader. Economista, imprenditore, laburista socialdemocratico, pochi giorni fa ha annunciato l’intenzione di costruire un muro lungo il confine con Haiti, che si estenderà per circa 380 chilometri. Lo scopo? Sempre lo stesso: “Porre fine in pochi anni – lui dice due – ai gravi problemi d’immigrazione illegale, del traffico di droga e della circolazione di veicoli rubati”.

I lavori dovrebbero iniziare entro la fine dell’anno. Il presidente ha spiegato che in alcuni punti più “conflittuali”, la barriera includerà una doppia recinzione insieme a sensori di movimento, sistemi a infrarossi e telecamere di riconoscimento facciale. Alcuni tratti del muro, si apprende, sono giù stati completati. E l’integrazione? L’inclusione? L’accoglienza? Si stima che circa 500.000 immigrati haitiani vivano già nella Repubblica Dominicana, la maggior parte illegalmente.

Tunisia, un muro lungo 200 chilometri

Ricordiamo tutti la grancassa dem contro l’ex presidente americano Donald Trump perché aveva osato costruire un muro di confine con Messico, per evitare proprio quegli stessi problemi. Muro che in realtà è stato iniziato – e continuato – dai democrats. Ma poco importa la verità storica, l’importante è dare addosso ai sovranisti. La storia che oggi ci interessa, invece, è quella che sta accadendo a pochi chilometri, davvero pochi, dall’Italia, proprio di fronte a casa nostra, in Tunisia. Dove neanche un mese fa unità della Guardia Costiera tunisina hanno bloccato in una stessa notte ben sette tentativi di “attraversamento illegale” delle frontiere marittime da parte di clandestini diretti in Italia. I quali, violando la loro legge e la nostra, hanno tentato di invadere il territorio di uno Stato sovrano senza la necessaria documentazione. Uscendo dalla loro nazione altrettanto illegalmente.

Nel corso dell’operazione, l’ennesima, sono state arrestate 87 persone, 45 delle quali provenienti da diversi Paesi africani e 8 già ricercate dalle forze di sicurezza. Inoltre sono state sequestrate imbarcazioni e somme di denaro in valuta straniera. Non è stato specificato quanto, ma è strano che questi fuorilegge che vengono dipinti come “disperati” e “affamati”, dispongono di somme per la traversata con le quali nel loro Paese si vivrebbe comodamente per anni. Misteri della geopolitica. La notizia interessante, e della quale quasi nessun giornalone italiano ha parlato o si è soffermato quanto quella riguardante il Messico, ben più lontano, è che la democraticissima Tunisia, già da parecchio tempo, ha completato una barriera di 200 chilometri lungo la sua frontiera con la Libia per contrastare i terroristi che provengono da lì. E sono già in funzione sistemi di monitoraggio elettronico. Il muro in questione è fatto da banchi di sabbia e fossati pieni d’acqua, che hanno reso confine invalicabile, almeno dai veicoli su ruote. I soldati tunisini hanno faticosamente costruito il muro di terra e scavato trincee a poca distanza dal confine con la turbolenta Libia. Ma, e qui viene il bello, “consiglieri” militari europei – segnatamente tedeschi – e americani avrebbero addestrato le truppe per adoperare la sorveglianza elettronica con telecamere e radar.

Perché la Tunisia ha costruito un muro di confine

L’idea verosimilmente nacque dopo che Seifeddine Rezgui, la tunisina che sparò in una località balneare a fine giugno 2015, uccidendo 38 turisti, aveva ricevuto il suo funesto addestramento proprio in Libia. Non solo. I tunisini che compirono il feroce attentato al museo del Bardo nel marzo 2015, in cui morirono 21 persone a Tunisi, si erano “formati” anch’essi in Libia. Nulla di strano che la Tunisia abbia deciso di erigere una barriera di confine dopo che dozzine di turisti stranieri erano stati assassinati da terroristi islamisti addestrati nella vicina Libia e armati da trafficanti, gli stessi che organizzano le invasioni in Italia. Per ora la barriera si estende per circa 200 chilometri di confine terrestre con la Libia, con tanto di recinzioni e torri di guardia. Il confine è lungo circa 460 chilometri, pattugliati costantemente dall’esercito tunisino, che non esita a rispondere con le armi a ogni possibile intrusione di jihadisti.

La Tunisia, dopo le cosiddette “primavere arabe” del 2011, era riuscita a sfuggire all’aggressione del terrorismo e all’instabilità politica. E questo non è piaciuto agli estremisti islamici eterodiretti, che nel 2015 hanno scatenato l’aggressione armata contro la Tunisia, Il governo ritenne allora che il Paese fosse oggetto di un complotto in corso per portare la sharia e rovinare l’economia della nazione, e dichiarò lo Stato di emergenza.
Purtroppo la Tunisia, per la sua popolazione giovane e un tasso di disoccupazione del 15 per cento, è diventata la più importante fucina di attivisti jihadisti nella guerra tra Iraq e Siria.

Consolidatasi frattanto come Stato democratico e moderno, la Tunisia ha dovuto improvvisamente affrontare la polverizzazione dello scenario politico libico e la difficoltà di approvvigionamento di greggio dovuto alle turbolenze libiche, con il conseguente impatto sulla sicurezza del border libico-tunisino. La Tunisia pertanto sta tentando da tempo in tutti i modi di stringere accordi con il Gna libico, il governo di accordo nazionale riconosciuto, cercando anche di stabilire una zona di libero scambio per sostenere il commercio. Commercio il cui volume si è bruscamente ridimensionato dopo che la Libia è caduta preda dei vari gruppi armati. Il problema è che la Tunisia non può, come dovrebbe, sigillare definitivamente i confini col vicino, perché devasterebbe la sua economia regionale con conseguenti negativi risvolti sociali. La situazione è fluida, e questo è un eufemismo: la Libia non mostra segnali di miglioramento politico e la Tunisia non può ancora a lungo sopportare questo limbo di guerra civile e commerci illegali.

Il caos libico, un problema irrisolto

La Libia, sin dai tempi di Gheddafi, era un grande partner commerciale per Tunisi. Anche se il commercio viaggiava per vie illegali, clientelari e tramite tangenti ai funzionari statali di entrambi i Paesi. Insomma, negli anni le autorità tollerarono questo sistema corrotto di contrabbando legalizzato, perché forniva relativo benessere alla popolazione, chiedendo loro solo di evitare il traffico di droghe e armi. Tutto ciò portò in realtà un benessere che lo Stato da solo non era in grado di generare in alcun modo. Con la disgregazione della Libia, questo equilibrio si è infranto, e nuovi contrabbandieri e milizie armate hanno iniziato a dettare nuove regole. Le incerte regole preesistenti non esistevano più, gli imprenditori tunisini si trovarono in balìa delle feroci bande libiche, e i confini quasi non esistevano più. Tra l’altro, la situazione di caos ha anche acceso rivalità antiche tra le tribù e le comunità locali. Il tutto complicato enormemente dall’interruzione della produzione e dell’arrivo del petrolio libico, con conseguenze gravissime sulla crisi e sulle borse di chiunque operasse nella regione. Si sono avute addirittura manifestazioni violente da parte di contrabbandieri e commercianti tunisini contro i libici, che impedivano loro una attività lavorativa di qualsiasi genere. Ci sono stati anche degli omicidi di personalità tunisine da parte di loro compatrioti poi riparati in Libia. Diplomatici tunisini in Libia sono stati rapiti. Gli attacchi terroristici di cui si è parlato hanno poi fatto il resto.

Sigillare i confini non basta

A questo punto il governo tunisino si è reso conto che tutta l’economia della zona era strangolata da questi fattori. E ha deciso di sviluppare una serie di stringenti quanto complessi accordi con la parti in causa, garantendo però la sicurezza nel traffico transfrontaliero. E lo sta facendo in modo militare, ma il commercio continua a essere ostaggio dell’incertezza del conflitto interlibico. Negli ultimi mesi, poi, si è aggiunto anche il coronavirus, che ha nuovamente portato allo stremo il commercio in quelle zone confinarie. Un anno fa esatto, la Tunisia ha sigillato i confini per la pandemia. Solo i pattugliamenti proseguono, mentre i molti commerci della zona hanno subito una battuta d’arresto. I terroristi si concentrano sulla tratta degli schiavi, favoriti dallo sgretolamento di ogni parvenza di ordine dalla parte libica. La Tunisia si protegge, insomma, ma il problema si riverbera sull’Europa, e sull’Italia in particolare. Finché non si metterà mano seriamente al dossier libico, tutto il Maghreb rischia di essere travolto. Ancora una volta, è l’Unione europea a essere latitante, lasciando il campo alle altre nazioni attrici nel quadrante mediorientale.

Antonio Pannullo

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