In Cile ci sono state le vaccinazioni di massa, ma le infezioni sono aumentate e il Paese torna in lockdown

Di Francesco Capo – Il Cile è una delle nazioni dell’America del Sud più avanti nella somministrazione dei vaccini Covid. Nonostante questo dal 27 marzo è tornato in lockdown a causa di un aumento delle infezioni. Su circa 19 milioni di abitantisei milioni hanno già ricevuto almeno una dose del vaccino Pfizer o del cinese Sinovac e più di quattro milioni hanno fatto anche la seconda dose.

Il presidente Sebastian Piñera ha disposto per più dell’80% della popolazione un nuovo confinamento totale, ancora più duro rispetto ai precedenti: i negozi che vendono beni di prima necessità sono chiusi nel fine settimana. Piñera ha chiesto al popolo un ultimo sforzo per sconfiggere il virus e ha proposto di rinviare di un mese le elezioni nazionali e amministrative fissate per il 10 e 11 aprile.

In Cile la campagna di vaccinazione era iniziata il 24 dicembre scorso per il personale medico e il 3 febbraio per la popolazione, iniziando dalle persone più anziane o più fragili.   Ad inizio marzo si è registrato un aumento delle infezioni, il giorno 11 è stato superato anche il picco di contagi registrato nel mese di giugno 2020. Secondo i dati ufficiali le unità di terapia intensiva sono occupate al 95%.

Quali sono i motivi di questa situazione? 

Le autorità attribuiscono tale aumento dei contagi al senso di rilassamento nella popolazione dopo l’inizio della campagna vaccinale.Come sappiamo, il vaccino non significherà un via libera tutti. Chi si vaccina dovrà continuare, come tutti, a seguire le misure prudenziali.

Infatti, come ha informato Aifa, i vaccini non costituiscono un certificato di libertà. A questo punto a che cosa serve, come vuole l’Europa, introdurre un certificato digitale per i vaccinati? Da un punto di vista scientifico, poi, il Sars Cov-2 appartiene alla famiglia dei Coronavirus che hanno la caratteristica di mutare nel tempo.

Le vaccinazioni stesse favoriscono tali mutazioni. Il professore Pietro Luigi Garavelli, primario di malattie infettive dell’ospedale Maggiore della Carità di Novara, non certo contrario alle vaccinazioni, ha dichiarato che il Sars Cov 2 “è un virus RNA, simile all’HIV, quindi, sotto pressione della nostra risposta immunitaria e dei vaccini, scappa e muta per sopravvivere”.

Il professore ha aggiunto che “non si vaccina mai durante una epidemia. Perché il virus reagirà mutando, producendo varianti…. Lo rincorreremo sempre, ripeto, tende a mutare velocemente”. Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Microbiologia dell’Azienda ospedaliera di Padova, ha sottolineato come anche nel caso di un’ampia vaccinazione, pensare di eliminare il covid sia al momento irrealistico in quanto il virus si è ormai radicato.

C’è poi il curioso caso dell‘India. Senza vaccinazione di massa, il numero dei contagi e quello dei morti è crollato.  Secondo molti esperti la spiegazione più probabile risiederebbe nel fatto che il numero complessivo delle persone infettate dall’inizio della pandemia è molto superiore agli 11 milioni di casi ufficiali, probabilmente tra i 300 e i 400 milioni.

Ciò può voler dire che si sarebbe raggiunta una certa immunità di massa o di gregge. Viene anche il dubbio che l’India, come la Cina, dove l’epidemia sembra scomparsa, abbia adottato protocolli di cura a base di idrossiclorochina.. Alla luce di queste considerazioni, il vaccino non dovrebbe essere l’unico strumento di contrasto al virus. Occorrono anche protocolli di cure tempestive ed efficaci.

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